A luglio i due trainer della scuola si sono avventurati nell’esperienza unica di correre una maratona. Ecco un breve diario di bordo dove hanno raccolto pensieri, esperienze e insegnamenti raccolti.

Angela

Questa non era la mia prima maratona, ma la corsa ti lascia sempre quel margine d’incertezza per cui non sai mai se quei 42 chilometri saranno affrontabili o meno. E soprattutto riuscirò di nuovo a godermeli come la prima volta?

E poi in una maratona un minuto ti senti invincibile e il minuto dopo inizia a farti male tutto e rischi di sentirti condannato alla sconfitta. L’unica cosa che puoi controllare è la tua mente e sperare che il corpo segua a dovere.

Il momento più duro

Nel mio caso il momento più duro è sempre la partenza, quando il percorso è ancora tutto da fare: in quel momento per me le sensazioni corporee si amplificano moltissimo e la fatica si fa sentire da subito, anzi forse più che al km 30.

Cosa ho imparato

La cosa più importante che mi porto a casa è (di nuovo!) gestire il criceto. Il criceto è quello che tecnicamente si definisce dialogo interno, ma l’immagine del roditore rende molto meglio l’idea del rimuginio che  a volte rischia di assalirci. Nei primi chilometri il mio criceto tentava di dirmene di tutte :

Stavolta è diverso, non ce la fai

Davvero pensavi di farcela?

Torniamo indietro adesso che possiamo!

Se adesso stiamo così al trentesimo km non saremo in grado di muoverci.

Inutile negarlo, il mio criceto sembrava impazzito.

La mia strategia iniziale è stata non fare resistenza, ho lasciato che i pensieri arrivassero nella mia mente e poi li lasciavo andare li immaginavo come le onde del mare quando arrivano sulla sabbia della battigia.

Dopo un po’ di minuti passati così, mi ero rifocalizzata a sufficienza da poter riprendere il controllo del dialogo interno. Ho iniziato a bloccare qualsiasi pensiero concentrandomi su elementi del mondo esterno: il rumore dei passi, il paesaggio e poi sul respiro. A quel punto avevo ripreso le forza e ogni volta in cui arrivava un pensiero demoralizzante acceleravo per qualche passo, come a dire “Adesso comando io!”.
Andando avanti così il criceto era diventato molto più accomodante.

Perché l’ho fatto (e lo rifarò)

Nella seconda parte della maratona il dialogo interno è scomparso, era come correre in discesa anche quando ero in salita. La sensazione era di essere un tutt’uno con la corsa che stavo facendo.  C’erano dolori ai piedi, alle gambe e al tallone ma non c’era la fatica. Era come se quei dolori fossero solo delle informazioni che non potevano rallentare il mio procedere.

Era come volare.

A posteriori ho razionalizzato: passata la paura, sono riuscita da andare in stato di flusso e se dovessi quantificare la durata degli ultimi 20 km, sarebbero potuti durare per me poco più di 20 minuti invece di due ore. Quel momento, più che il traguardo, è il motivo che mi porta a pensare già a come rifarlo di nuovo. Magari imparando a anticipare quel momento di pura gioia.

 

Lapo

Per me è stata la prima maratona. E il margine di incertezza in questo caso è altissimo. Alle normali condizioni si sono aggiunti problemi vari alle ginocchia che mi ricordavano ogni tanto le innumerevoli partite di rugby giocate, l’età articolare (un tipo di età che riguarda le cartilagini ipersforzate), assai diversa da quella anagrafica o biologica, i 42 km (e 195 metri). La domanda era: Ce la farò ad arrivare in fondo? E sopratutto un Perché grande come una villetta bifamiliare. L’unica cosa che puoi controllare è la tua mente e sperare che il corpo segua a dovere. (concordo con Angela)

Il momento più duro

Ah, ah. Sono andato in crisi al km 12!!!. Da lì è stato tutto un crescendo di dolori (alle ginocchia? No naturalmente. Le ginocchia si sono comportate in maniera perfetta. Ai tendini, muscoli, a tutto quello che c’è fra ginocchio e caviglia. con dolori, crampi, scossette elettriche di origine sconosciuta). Il fatto poi che tutti quelli lasciati dietro hanno cominciato a superarmi e mi sono ritrovato a correre da solo dal km 17 al 42. In mezzo al bosco su sentieri stupendi, in un paesaggio magico.

Cosa ho imparato

La cosa più importante che mi porto a casa è che siamo i padroni assoluti della nostra mente. E non del nostro corpo. Ma di come la nostra mente interpreta i segnali che il corpo ci manda. Tutta roba normale che ripetiamo e insegniamo nei corsi e nel coaching. Da applicare è splendida. Sopratutto quando ce la fai. E che grinta e resilienza non sono termini astratti ma situazioni e risposte concrete. Da applicare, ripeto. Non da conoscere.

Perché l’ho fatto (e lo rifarò)

Perché la sensazione di arrivare in fondo è bellissima. Il sapere, avere la certezza, di potercela fare è la droga più intensa che si possa immaginare. Lo rifarò perché ho l’obiettivo di migliorare il mio tempo di un’ora. Magari non accadrà nella prossima maratona. Ma accadrà.

Era come volere.

La potenza è nulla senza il controllo. E la sensazione di essere in controllo di noi stessi è davvero bellissima.